Brescia antica città giovane
Brescia the ancient young city

Brescia chiama a raccolta i giovani. Li invita e li sollecita a mobilitarsi per essere protagonisti nel mondo dello studio e in quello dell’impresa e del lavoro e diventare artefici di iniziative artistiche, sportive, culturali. Nell’animare col loro entusiasmo e la loro creatività la vita cittadina, essi possono rendere concreto l’auspicio di fare di Brescia un’antica città giovane per i giovani, che in una ritrovata cultura della responsabilità ispirata a rinnovati modelli di sobrietà possa costruire la bellezza di un futuro di speranza, rispecchiandosi nel volto giovane dei suoi Santi Patroni. Le feste dei Santi Patroni possano costituire un’occasione propizia e uno stimolo in più per il consolidamento di un processo di coordinamento delle buone pratiche tese a tradurre in concreto le soluzioni possibili e mature per affrontare le tante emergenze che impegnano i Bresciani, nella consapevolezza che in proposito sta maturando una disponibilità crescente e diffusa. La Confraternita dei Santi Faustino e Giovita intende a tal fine essere un dono alla città, la messa a disposizione di una generosità che si rinnova da parte delle principali istituzioni bresciane, che intendono operare insieme, accantonate con senso di responsabilità le contrapposizioni, per una stagione che concorra a riempire di nuovi contenuti l’esercizio fecondo della concordia, così da aggiornare e arricchire con nuovi profili di bellezza i connotati più antichi e genuini della Brescianità.

Nutrire la bellezza

 

E’ qualcosa di più del semplice difenderla o tutelarla o del valorizzarla, quando la si scopra nei lineamenti di qualcuno o nelle forme di qualcosa, nutrire la bellezza significa corrispondere in qualità e quantità ogni giorno, che ci è dato di vivere, alla quotidiana incessante necessità di attenzione, di nutrimento e di apporto di energie, che la bellezza richiede per esistere e crescere e fornire prova di sé, in modo che ognuno ne possa godere, cogliendola sì attraverso lo sguardo, ma solo con gli occhi della propria interiorità, così da far dire al filosofo che, chi partisse per un giro intorno al mondo per incontrarla e farne esperienza, troverà la bellezza solo a condizione che l’abbia portata con sé fin dalla partenza. (Emerson) Sono gli occhi, dunque, e con essi il nostro sguardo interiore che ci consentono di cogliere, nella realtà che ci circonda, quello che Platone definisce lo splendore del vero e di fare quell’esperienza del bello, che si fa immediato giudizio di valore. Di fronte ad una bella rappresentazione teatrale, ci viene spontaneo affermare che è opera di un buon regista e di una bella compagnia di attori; siamo, altresì, ammirati e definiamo bella azione un impulsivo gesto di altruismo o di bontà; così di una persona buona, ricca di qualità che ne arricchiscono il profilo, siamo soliti dire, che si tratta di una bella persona. Il bello si sovrappone fino a identificarsi col buono? Riemerge, allora, il richiamo al fondante giudizio delle origini. Nel Libro della Genesi il racconto della creazione narra che Dio alla fine di ogni giorno, guardando l’opera compiuta, vide che era cosa bella. Al termine del sesto giorno, dopo aver creato luce e tenebre, mare e terra, piante e animali e infine l’uomo, guardando ciò che aveva fatto, esclamò compiaciuto, che ciò era molto bello. La traduzione del termine ebraico, secondo alcuni studiosi del testo sacro, va sostituita con buono, a significare nella cultura di quel popolo la pressoché esatta coincidenza dei due significati di bello e buono nel medesimo termine. Secondo gli stessi esegeti del testo biblico, anche la tradizionale immagine del Buon Pastore avrebbe una ben più pertinente traduzione con quella di Bel Pastore. E’ proprio Lui che nel tempo delle origini, nel vedere la sua opera, genera la bellezza, determinando in Se stesso il confronto con il canone di bellezza che è Lui medesimo, concedendo poi proprio all’uomo, come afferma Dionigi Aeropagita, la possibilità di partecipare della sua stessa bellezza. Un’esperienza che Dante considera la più alta, che porta chi la vive a trasumanar, fino ad attingere conoscenze inenarrabili, che significar per verba non si poria, ma che lasciano un’impronta indelebile, il canone di riferimento, cui attingere per cogliere nella realtà concreta la testimonianza della bellezza. Che è null’altro che, guardando con gli occhi del cuore, scoprirvi, come afferma Manzoni, le impronte e le orme di Dio, che suscitano stupore e meraviglia nell’artista e nello scienziato, che voglia lasciarsi sorprendere il primo, operando perché, come dice Michelangelo, la perfezione della bellezza sia finalmente liberata dalla sovrabbondanza della materia che la cela, il secondo per ricavare dall’osservazione del creato, come ha dimostrato Galileo, le leggi che ne consentano la comprensione e ne svelino la verità dell’armonica bellezza, che lo regge e governa. La vista del bello e la conseguente esperienza della bellezza non è preclusa a nessuno. Tutti dispongono di occhi e sguardo interiore, ovvero degli strumenti indispensabili per compiere quell’esercizio di conformità del veduto con il criterio di bellezza che ognuno conserva in cuore. Frutto della temperie culturale in cui la sorte ci immerge, esso si definisce e struttura anche secondo il processo formativo e la volontà di aggiornamento e di crescita che ognuno mette in campo, in una dinamica di trasformazione che richiede, dunque, una continua e costante formazione. Occorre, insomma, educare ed educarsi al bello, nella consapevolezza dell’indispensabilità di un vasto programma, che richiede la necessità di una conversatio ad pulchrum pro bono. In tale prospettiva occorre innanzitutto riscoprire lo stretto nesso antico di bello e buono, per superare l’estetizzante prevalere del bello fine a se stesso, se non vittima del canone della bruttezza, determinato da uno stravolgimento già prefigurato da Shakespeare nel canto “E’ brutto il bello, è bello il brutto” delle streghe del Macbeth e ormai trionfante nell’arte contemporanea. E’ necessario, poi, che maturi una diffusa convinzione fino ad un cambio sempre crescente di atteggiamenti che si traduca in una conversatio ad pulchrum, vale a dire in una quotidiana diuturna riconferma dell’impegno a cogliere, difendere e valorizzare il bello. In una dinamica non già solo culturale, bensì esistenziale, che miri a realizzare una rinnovata antropologia, mediante il ricorso ad una “ecologia del bello”, non già nella suggestiva prospettiva salvifica della profezia del principe Miskin, l’idiota, cui Dostojewskij sembrerebbe far dire che “il bello salverà il mondo”, ma nel suo più genuino statuto di disciplina che, connettendo le scienze della terra con quelle della vita, assuma il criterio della bellezza, nella certezza che se non se ne recuperi la centralità, la prospettiva è di veder prevalere nel mondo l’annichilente egemonia del brutto e del male che trascina con sé. Si tratta in definitiva di recuperare, operando nel mondo, lo spirito della bonifica, realizzata agli inizi del medioevo secondo i criteri definiti dal patriarca del monachesimo occidentale, patrono d’Europa, Benedetto, e il senso che egli diede alla proposta fatta all’uomo del suo tempo, cioè della necessità di far rinascere un mondo in profonda crisi, allora mediante un nuovo statuto del lavoro, impegnato a conseguire l’obiettivo adottando il criterio della miglioria, nella più stretta sintonia con l’attività “lavorativa” di Dio creatore.
E’ di tutta evidenza la necessità di aggiornare la proposta rivolta all’oggi, ispirandola alla ritrovata originaria dimensione di valore del bello come buono, così che la bonifica del terzo millennio si possa realizzare secondo il criterio della bellezza, da nutrire ogni giorno nella conversatio che ci viene richiesta, perché possa, nutrendo a sua volta di sé l’umanità futura, mobilitare le coscienze e l’entusiasmo principalmente dei giovani e produrre effetti a beneficio del mondo intero, almeno analoghi a quelli che nell’Europa nascente ne costituirono gli elementi portanti delle più solide fondamenta.

Alessandro Bonvicino
detto Il Moretto (1498-1554),
Cena in Emmaus, part.
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

La bellezza, nelle forme idealizzate
del tempo, con sguardo severo interpella e invita alla mensa,
su cui sono imbandite vivande
di salvezza.

«Questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. È un panorama incantevole. Pare prodigalità senza misura».

Beato G. B. Montini
Paolo VI

Associazione Confraternita dei Santi Faustino e Giovita
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