Perseverante! Lo si dice di chi determinato e risoluto si conferma nelle proprie scelte e opera in conformità ad esse per raggiungere gli obiettivi che si è posto. Un atteggiamento, dunque, che rimanda alla sfera più genuina della libertà. Non si potrà così considerare dettato da spirito di perseveranza, ad esempio, il comportamento della rondine che ripete la sua lunga migrazione o quello dell’orso o del ghiro o del serpente determinati ogni anno ad entrare in letargo all’inoltrarsi dell’autunno. È, dunque, la reiterata conferma di una libera scelta, fatta nella piena consapevolezza delle sue motivazioni e nella convinta assunzione di responsabilità in merito alle conseguenze che comporta, che riempie di contenuto e conferisce significato all’esercizio della perseveranza. Ciò induce all’immediato giudizio di valore. La libertà di scelta, infatti, ci pone innanzi anche la possibilità di preferire il male e di persistere diabolicamente nel perseguirlo. Si può tuttavia facilmente constatare che, nel più diffuso sentire, é condivisa una risoluta e costantemente confermata adesione al bene nella vasta pratica delle virtù, cosicché si usa dire che è la perseveranza la virtù che consente a ogni virtù di dare frutto. La fermezza e la determinazione fino al martirio dei giovani Faustino e Giovita ne sono un esempio luminoso. Il riferimento non può essere, tuttavia, soltanto alla scelta estrema e impegnativa del martire o dell’asceta, chiamato alla conversatio, cioè alla conferma, ogni momento, degli impegni assunti con la sua iniziale decisione, bensì al non meno gravoso onere che deriva nella normalità quotidiana a chiunque intenda onorare la propria originaria vocazione di vita: si tratti dell’operaio che compie ogni giorno con senso del dovere il proprio lavoro in fabbrica; del commerciante, dell’artigiano, dell’agricoltore determinati a confermare, notte e dì, alla propria attività la dedizione della prima ora o dell’imprenditore proiettato a conquistare quote di mercato nell’economia globalizzata per il successo della sua impresa e per assicurare la garanzia del lavoro ai suoi dipendenti o del libero professionista, del ricercatore o dell’artista, ancor più consapevoli della necessità di quel supplemento di costanza e dedizione che consente di progettare nuovi obiettivi, di tentare nuove vie e di esplorare nuovi orizzonti. Ma ancor più ricco di significato appare in merito il perseverare nel percorso di chi deve vincere una grave malattia o di chi tenta dal carcere di saldare il conto dei suoi errori o ancora di chi con fatica si sforza di uscire dall’abisso tragico delle dipendenze, per riconnettere la propria vita a quella complessiva della comunità in cui vive. I cui caratteri più evidenti, tuttavia, si connotano sempre più per il venir meno di saldi legami, di sistemi di condivisione, di momenti di partecipazione, caratteristici del secolo breve e ora in via di evaporazione per il radicale imporsi dei sistemi di connessione impersonale offerti dalla tecnologia da un lato e dall’altro per l’accelerazione vertiginosa del succedersi della notizia che annienta la notizia, con la conseguente progressiva eclissi della capacità, non già di elaborazione critica, ma neppure di sedimentazione del dato o dell’emozione, rischiando di consegnare il singolo a un presentismo inaridito e senza futuro. La perseveranza, allora, ancora prima che pratica di potenziamento di vizi o virtù, si impone all’uomo contemporaneo come disciplina da apprendere, come obiettivo necessario, raggiungibile soltanto attraverso un ineludibile percorso di formazione, che richiede in definitiva nient’altro che l’applicazione di un meditato attento rigoroso impegno nel fare ciò che si deve… con perseveranza.

Antonio Cifrondi (ambito)
(Clusone 1656 - Brescia 1730),
Vecchio che dipana un gomitolo
(allegoria del pensiero)
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

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